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  • Immagine del redattoreCamilla Ferrario

Intervista a Matteo Varsi

Intervista realizzata al fotografo Matteo Varsi dopo l'esposizione LIMBO alla INTERZONE GALLERIA, dal 22 novembre 2013 al 21 gennaio 2014


Camilla Ferrario: Lei è fotografo da molti anni, si ricorda come e quando è nato il suo rapporto con la fotografia?

Matteo Varsi: Non ho un ricordo preciso, se non quello che in ogni circostanza portavo con me una piccola macchina fotografica già da ragazzino e ogni scusa era buona per tirarla fuori e scattare qualche foto.


CF: Crede che oggi, in un mondo caratterizzato da un surplus di immagini, in cui tutti fotografiamo e siamo fotografati in continuazione, abbia ancora senso il mestiere del fotografo? Se si, in che modo?

MV: Il mondo va sicuramente in una direzione ben precisa e non vi è dubbio, ma è vero anche che io fotografo per passione, per cui non riuscirei a farne a meno. L’overload di immagini a mio parere non corrisponde sempre a qualità fotografica e peso del messaggio. Mi sembra giusto che continui a esserci il mestiere del fotografo se questo continua a essere uno sguardo personale sul reale, senza amalgamarsi troppo al flusso.


CF: Lei scatta spesso con camere stenopeiche, le costruisce lei stesso? A cosa è dovuta questa passione?

MV: Utilizzo spesso il foro stenopeico, a volte assemblato in maniera manuale, altre no. Non l’ho mai abbandonato da quando l’ho scoperto. Mi piacciono le pose lunghe... e mi piace immaginare il risultato finale.


CF: La Polaroid sembra essere un mezzo ricorrente nella sua produzione. Quanto è importante per lei l’unicità in un’opera d’arte?

MV: I materiali Polaroid mi divertono, mi permettono di spaziare in un mondo di colori e sfumature. Sull’unicità di un’opera non saprei… Credo che esistano diverse tipologie di immagini: alcune hanno un’anima pop ed è quindi corretto e sensato riprodurle, altre semplicemente sono uniche nel loro processo creativo e fotografico ed è altrettanto corretto che abbiano un altro genere di “respiro”.


CF: A cosa è dovuta la scelta di utilizzare spesso pellicole scadute come supporto per le sue fotografie? Ha a che vedere con la casualità del risultato finale che il loro impiego può apportare? Se si, quanto è importante per lei il ruolo dell’autore e quanto invece l’intervento del caso?

MV: L’utilizzo di materiali spesso scaduti nel mio caso non toglie ma aggiunge. Aggiunge suspense, ma in realtà non c'è niente di casuale. Ogni effetto è cercato e, in un qualche modo, da me controllato (a seconda dei miei gusti stilistici e del famoso risultato finale che ho in mente).


CF: Lei sembra molto legato alla fotografia analogica. Secondo la sua opinione, il futuro della fotografia artistica è necessariamente legato a un ritorno al passato?

MV: Non credo che sia necessario un ritorno al passato in fotografia. Credo invece che debba convivere un sano pluralismo di linguaggi, dove qualsiasi filone trova il suo spazio in quanto riflesso di una visione personale del reale.


CF: Un’ultima domanda: sta lavorando a qualche progetto in questo momento?

MV: Riguardo i miei progetti… in testa ne ho sempre molti, ma in questo preciso momento ho dovuto anch’io fare i conti con la pandemia. Avevo un bel progetto di mostra in ballo nel Galles e dopo aver ottenuto anche le sovvenzioni ministeriali tutto si è bloccato ed è tuttora sospeso in un eterno “limbo”! Ho poi questo progetto sospeso dedicato all’acqua, che avrei dovuto realizzare nella Sala Cinema più antica d’Inghilterra… mai dire mai! Da poco ho venduto alla Polaroid uno scatto a fini pubblicitari per il lancio in aprile di una nuova tipologia di pellicole.

Spero che sia tutto un po’ più "fluido" in futuro, così come spero di vedervi presto e parlare un po’ di fotografia!



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