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Martedì 10 giugno 2014 alle ore 19, nell’ambito di FotoLeggendo/10 2014, si inaugura a INTERZONE Galleria Studio di Fotografia la mostra IL TEMPO DELLA MESSE, istantanee di Marco Spaggiari.
“Perché una immagine sia una immagine occorre sia, tendenzialmente, non trasparente, ovvero occorre che assuma su di sé la responsabilità di far vedere, di portare a visibilità ciò che, altrimenti, resterebbe non vedibile.” (Luca Farulli)
Il Tempo della Messe è un'esposizione di oltre settecento scatti polaroid sedimentati in 25 immagini. Istantanee singole e composite, in tiratura unica, strutturate in scatti sovrapposti da un fotografare che mira oltre il visibile alla ricerca di altra forma nella forma. Un ricostruire, non un rappresentare, che cerca di render concreto ed esperibile un mondo visuale nato dal sensorio e dall'immaginato. Immagini che scandagliano prevalentemente il territorio reggiano giocano sospese con le prime nebbie del mattino, tra pali della luce, casolari immersi in lande dove tracce e solchi inscrivono nella terra la poeticità di una provincia tutta. Polaroid che come dei dispositivi cercano di portare a visibilità tutta la belligeranza possibile quale antagonista della menzognera armonia che riveste il sensibile. Nel manifestarsi del gesto irripetibile si trovano condensati sensorialità e pensiero nati in un mondo che anche in questo preciso istante “accade”. Come lo stesso Marco Spaggiari scrive: “Gesti che nascosti accadono, necessari come noi, mentre noi d'altro si ‘vive’”.
Opere realizzate tra il 2012 ed il 2014 su pellicola Fujifilm FP3000b e FP100c con un apparato Polaroid Colorpack III del 1970.
Marco Spaggiari nasce a Correggio (RE), il 26 Aprile 1974; vive e lavora a Fabbrico (RE). Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel corso di pittura tenuto dal professore Massimo Pulini nel 2009 con una tesi dal titolo “Un diario ceduo - Un percorso fra convenzionalità e spregiudicatezza della forma da Delacroix a Cézanne” (relatrice Cristina Frulli; Storia dell'Arte), e nel 2012 con una tesi dal titolo “L'atto fotografico, coscienza del mondo” (relatore Luca Farulli; Estetica e New Media).
THE HARVEST TIME
snapshots by Marco Spaggiari
“To be considered as is, an image should, by nature, be non-transparent. In other words it should allow you to see, or disclose, what, otherwise, will not be seen.” (Luca Farulli)
The Harvest Time is an exhibition of over seven hundred polaroid snapshots framed inside 25 portrays. Unique pieces of single and multiple exposures, organized in overlapped shoots, searching for another type of form, beside the appearance, through the act of photography. Recreating, instead of representing, with the intention of making real and express a visual world originating from the senses and imagination.
Images, mostly from the countryside surrounding Reggio Emilia, playing in suspense with the early morning fog, between the power line and nearby rural houses, where the poetry of the whole province is scratched by traces and scarves. Polaroids are devices aiming to show the polarity governing the tangible world. The emergence of the irreproducible act condenses the senses and thoughts originating from a flowing world. Like Marco Spaggiari writes: “Invisible actions are essential and they occur everyday, while we are living our lives without paying attention to them”. Images produced with a 1970 Polaroid Colorpack III on Fujifilm FP3000b and FP100c film between 2012 and 2014.
Marco Spaggiari, born in Italy in 1974, presently lives and works in Fabbrico (Reggio Emilia). He obtains academic degree in painting (Prof. Massimo Pulini) at the School of Fine Arts in Bologna in 2009 and 2012 with graduated works on Art History and Aesthetic. Following a natural need of presenting transmedia images, he’s involved with the same intensity in photography, drawing, painting with the aim to bring out the moment of knowability researching ways to wake up new senses. Presently he works on numerous exhibitions, publications and pursues his career with conferences and researches.
Esposizioni-riconoscimenti-pubblicazioni
IL TEMPO DELLA MESSE, istantanee di Marco Spaggiari
La mostra è realizzata in collaborazione con CameraOscura di Roma.
Catalogo mostra edito da INTERZONE [15x23 cm. - pp. 68 - €22 + poster autografo in 1/25 copie]
Ufficio Stampa
INTERZONE Galleria Studio di Fotografia
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Immagini non fotografie
di Luca Farulli
Perché una immagine sia una immagine occorre sia, tendenzialmente, non trasparente, ovvero occorre che assuma su di sé la responsabilità di far vedere, di portare a visibilità ciò che, altrimenti, resterebbe non vedibile. Già Platone ci pone su questa strada quando, nel dialogo Cratilo, invita a distinguere tra la copia di una persona vivente e la sua immagine: “Potrebbero essere due cose queste – chiede il Socrate platonico –, per esempio Cratilo e l’immagine di Cratilo, se un dio non solo raffigurasse il tuo colore e la tua forma, come fanno i pittori, ma anche tutto il tuo interno facesse quale tu hai, le stesse tue morbidezze riproducesse e gli stessi calori tuoi, e moto e anima e mente vi ponesse dentro come sono in te, e, in una parola, quali sono tutte le cose che tu hai, altrettali e altrettante ne ponesse vicino a te? Avremmo, in tal, caso, Cratilo e l’immagine di Cratilo, o addirittura due Cratili?”; “Due Cratili” risponde l’interlocutore. La qualità non trasparente è il contrassegno distintivo tra una replica dell’oggetto prodotta da un medium e la resa di quell’oggetto stesso attraverso una immagine, la quale svolge la prestazione di offrire un di più di essere. Dalle “immagini autentiche”, afferma Gottfried Boehm, “ci attendiamo non solo una conferma di quanto già sappiamo, ma un plusvalore”. In questo senso, quando parliamo di immagini, parliamo sempre dell’uomo, che ne è “naturalmente” il suo “luogo”: “Nonostante tutte le apparecchiature con le quali oggi siamo in grado di immagazzinare le immagini – scrive Hans Belting –, è soltanto l’uomo il luogo in cui le immagini trovano una spiegazione e un significato naturale (dunque sfuggente, difficilmente controllabile ecc.)”, sebbene l’uso di tali apparecchiature voglia imporre l’applicazione di alcune norme”. E’ per e da un tale orizzonte d’attesa vivo che vengono realizzate immagini. Ciò non significa che il medium con il quale tali immagini vengano realizzate sia privo di rilevanza specifico, ma la questione centrale resta quella della realizzazione della realtà per immagine, aspetto che tiene l’equilibrio tra assoluta trasparenza e totale opacità dell’immagine. Questo rilancia la centralità dell’arte in quanto mediazione necessaria affinché esista realtà, dimensione che è posta in essere, appunto, dalla fatica della realizzazione, la quale si misura con il materiale della percezione, dando ad esso forma, costrutto plastico. “Notoriamente la percezione è un’operazione analitica – nota ancora Belting – nella quale raccogliamo stimoli e dati visuali. Ma essa si conclude in una sintesi in cui l’immagine emerge soltanto come ‘figura’”. Si tratta di qualcosa di molto vicino a quanto Paul Cézanne affermava in una delle ultime lettere a Émile Bernard, quando si richiamava alla propria: “ostinazione con cui perseguo la realizzazione di quella parte della natura che, cadendo sotto i nostri occhi, ci dona il quadro”.
In questo orizzonte problematico si collocano le immagini prodotte da Marco Spaggiari: potenti opere di costruzione artistica della realtà.
Ogni immagine è, non specchio, non trasfigurazione, bensì riflessione. In queste immagini non vi è cedimento al dettame del soggetto: non vi sono riprese di soggetti o temi che si qualifichino in sé come artistici. A ben vedere, il termine artistico è qui accettabile unicamente in virtù del suo valore di mediazione riflettuta, facendo giustizia di altre possibili coniugazioni nel senso di una piacevole immagine ad arte. La medesima indisponibilità rinvenibile sul piano dell’incompatibilità con la artisticità naturale del soggetto ripreso, vale qui per l’estraneità rispetto al piacevole, costituito dalla cattura del momento felice, di per sé significativo. Non si tratta di immagini commestibili, o di genere “culinario” nell’accezione adorniana del termine. Qui domina la fatica della realizzazione, con cui si fa emergere la realtà, la si rende visibile in modo significativo: a dispetto di ogni riproducibilità delle immagini, in quanto fotografiche. Ecco la ragione della scelta di distinguere immagine e fotografia. L’esodo dall’aura non autorizza a immagini prodotte dall’apparato, al libero giuoco dell’inconscio ottico, così fortemente tematizzato tra L. Moholy-Nagy e W. Benjamin. La “ostinazione” nella realizzazione frutta immagini fantasmatiche le quali, invece di fluttuare, stanno: si reggono sulle gambe, rispetto alla mobilità e fluttuazione della percezione; stanno, in quanto immagini esterne, di contro al facile cedimento sul piano lirico, delle immagini meramente interiori. Proprio in virtù di tale fatica nel stare, esse reggono il medio tra trasparenza ed opacità e si rivolgono, come potenti monumenti, all’uomo come luogo delle immagini; offrono il loro “plusvalore”, donano una crescita, comunicano esperienza.